Lourdes, Hautes-Pyrénées, giovedì 25 marzo 1858: è il giorno della Sedicesima apparizione di Colei che la piccola Bernadette Soubirous non sa ancora chiamare per nome. Sceglie di indicarla con la parola Aqueró, che nella parlata patois del luogo vuol dire “Quella là”. “Quella là” è una giovane donna, che dall’11 febbraio le appare nella Grotta di Massabielle, o Masse-vieille come in verità si dovrebbe dire in corretto Francese, la “vecchia roccia”. È la solennità dell’Annunciazione del Signore, e di prima mattina la veggente osa domandare ciò che le altre volte non aveva osato:
«Mademoiselle, boulet aoué la bountat de me disé que es, s’il bou plait?Signorina, volete avere la bontà di dirmi chi siete, per piacere?».
Ripete quella frase altre due volte, al cospetto della “Signorina” di luce che le sorride. Ma alla quarta volta Aqueró non ride più. Passa il suo rosario nel braccio destro. Le sue mani giunte si aprono, si stendono verso terra. Con uno stesso movimento, le unisce all’altezza del petto, alza gli occhi al cielo e dice:
«Que soy era Immaculada Councepciou. Io sono l’Immacolata Concezione».[1]
C’è da stupirsi: la Madonna non rivela semplicemente una sua prerogativa, non dice ad esempio «Io sono la Concepita Immacolata», ma esprime un concetto teologico; e sa da una parte ciò palesa la prevalenza della definizione dogmatica, pronunciata solo quattro anni prima[2], sulla persona della Vergine, dall’altra ci dice qualcos’altro: quella data così significativa da Lei scelta per questa inattesa rivelazione – la solennità dell’Annunciazione – indica che non solo la Madre è concepita sine macula originalis, ma anche il Figlio, poiché dall’Immacolata viene l’Immacolato. Dovremo ritornarci.
Esattamente trent’anni dopo, il 22 marzo 1888, in un luogo altrettanto povero e marginale qual era il villaggio pirenaico, lontano dai clamori del mondo, la Vergine apparve nuovamente a una povera contadina, Fabiana Cicchino, conosciuta nel paese di Castelpetroso come Bibiana. La donna si era allontanata per ricercare una pecorella sperdutasi nella boscaglia; la ritrovò di fronte a un anfratto da dove proveniva una strana luce. Accostatasi, vide la Madonna Addolorata, seminginocchiata, nell’atto di presentare il Figlio morto, steso ai suoi piedi. La Madre di Dio volgeva lo sguardo rivolto al Cielo, nell’atto di implorare e di offrire quel suo Figlio ormai trapassato, ricoperto di piaghe e trafitto. Aveva la veste color rosaceo e il manto di color bruno che dal capo le copriva le spalle fino ai piedi: Addolorata sì, ma non vestita a lutto, come vorrebbe l’iconografia consueta. Ferma nella sua postura di regale sofferente, la Vergine non pronunciò alcuna parola.
L’Apparizione si ripeté la mattina di Pasqua, che in quell’anno cadeva il 1° aprile, ed anche un’altra contadina poté vederla. Il clamore dell’evento cominciava ad attirare verso quella località di montagna, “Cesa tra Santi”, una moltitudine sempre più numerosa, finendo per sollecitare l’intervento dell’autorità ecclesiastica. Difatti, il 26 settembre 1888 anche il vescovo di Bojano, competente per territorio, si portò in quel luogo e, con sua grande meraviglia, ebbe la grazia di vedere l’Addolorata, nello stesso atteggiamento descritto dalle veggenti: la Madre che offriva il Figlio, la “Donna dei dolori” che col suo Cuore Immacolato trafitto dalle Sette Spade chiedeva implorante al Cielo di accettare quel suo dono[3].
Immagine davvero inconsueta. Qui il volto di Maria esprime sì immenso dolore, ma Ella ha un atteggiamento di maternità regale: offre il frutto del suo grembo al Padre, quale vittima di espiazione e di riparazione per i peccati degli uomini; e siccome Ella si mostrò – caso unico nella storia della Chiesa – anche a un vescovo, dobbiamo concludere che il messaggio dell’Addolorata di Castelpetroso è diretto, anche e soprattutto, ai membri della gerarchia cattolica, peccatori anch’essi: lo vediamo sempre più, ogni giorno che passa. L’Addolorata di Castelpetroso, anche se silente, grida questo messaggio; Ella è in atteggiamento sacerdotale di “sofferente” ed “offerente”. Implora il Cielo che la sua offerta venga accettata.
E come potrebbe mai il Cielo non gradire il dono offerto dalla Madre!? Perché questa offerta e questa implorazione? Che significato assumono l’espiazione e la riparazione del Figlio da Lei donato? Insomma, che contenuto può avere questa singolarissima postura, con la quale Ella si manifestò sulle montagne del Sannio pentro; Lei, la Donna di Nazaret, la Madre di Cristo e Madre della Chiesa? Questa, in effetti, è la vera domanda che occorre farsi per arrivare a comprendere il significato del trionfo del Cuore Immacolato di Maria, che si sostanzia nel legame indissolubile tra i fatti di Castelpetroso, ciò che avvenne trent’anni prima nei Pirenei francesi, sulle rive del Gave de Pau, e quel che sarebbe accaduto quasi trent’anni dopo alla Cova da Iria, il 13 luglio 1917.
L’offerta del Figlio da parte dell’Addolorata assume un significato pregnante proprio in questo nostro ultimo tempo, perché esso è quello in cui il sacrificio del Calvario viene disconosciuto e rigettato. E la Messa cattolica, che quel sacrificio rinnova su ogni altare sopra il quale essa è celebrata, è gravemente in pericolo – lo leggiamo ogni giorno, lo avvertiamo dentro di noi –, come mai era accaduto prima. Occorre “riparare” a questo inaudito attacco.
La Donna “sacerdotale”, che è Madre della Chiesa, a motivo dell’infedeltà della gerarchia nominale che la rappresenta partecipa fino alla fine alla sua missione di Corredentrice, di cui Ella fu investita ai piedi del Legno dove il Figlio generato nella carne veniva ferito a morte, proprio offrendo in “sacrificio di riparazione” quel suo nuovo figliolo che, prima che tutto fosse compiuto, le veniva affidato (Gv 19,28). Figlio senza colpa, dice Daniele (Dn9,26), perché sin dall’antefatto di Lourdes abbiamo appreso che dall’Immacolata viene l’Immacolato. Egli è la “vittima di riparazione”, e la vittima, per essere accetta al Cielo, non può avere difetti (cfr Lv 5,15). E mai l’Evangelista chiama costui per nome – egli è per noi semplicemente il Discepolo che Gesù amava –, poiché la nuova maternità di Maria, che è nell’ordine della grazia, accomuna ciascuno di noi e vale per sempre. Vale soprattutto in questo nostro tempo di anomia, nel quale ogni legge e ogni logica sono rigettate, ora che quel figlio della Chiesa, il quale sa di essere la vittima di riparazione, si sottomette, obbediente fino al suo estremo sacrificio, fino a morire trafitto. In lui, il pastore che si fa agnello per la salvezza di molti (cfr Is 53,11), si ripeterà perfettamente, e fino al dramma finale della Croce, la parabola terrena del Nazareno.
Il segno dell’acqua che a Lourdes guarisce i malati non è in fondo che profezia di ciò che avverrà nel tempo escatologico, quando la Madre Immacolata della Chiesa attrarrà a Sé i peccatori, che necessitano di essere lavati in quell’acqua incorruttibile. Mediante quel figlio nuovo Ella richiamerà i cuori bisognosi di rigenerazione dal peccato al suo glorioso Cuore Immacolato, per condurli al Sacro Cuore di Gesù, unica fonte della nostra salvezza: l’Agnello, che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita (Ap 7,17).
Chi è dunque questo “figlio spirituale” della Donna che Ella presenta al Padre, così come vediamo nell’atto solennissimo raffigurato nel Santuario di Castelpetroso? Si sarà compreso che si tratta in verità di colui il quale, nell’atto finale della sua esistenza terrena, sarà riconosciuto come “Vescovo vestito di Bianco”, secondo quanto è detto nella Visione messa per iscritto, nel gennaio 1944, dalla Suora portoghese Lúcia dos Santos. L’offerta della Madre porta con sé, indelebile, un ricordo, poiché il suo Cuore Immacolato serba i misteri e i dolori del Figlio suo Gesù (Lc 2,19.51), compresi in ordine alla Croce, lì dove il suo dolore e la sua fede si erano fusi nell’anima sua. Per questa ragione l’offerta della Madre ripropone e rivive interamente, seppure in una prospettiva ecclesiale che riguarda tutti, quei misteri e quei dolori del Figlio suo.
Modellata sulla Via Crucis, la tradizione e la pietà popolare hanno definito il cammino di prova vissuto da Maria col nome di Via Matris[4]. In questa ascesa salvifica, Sette sono i Dolori che si sono cristallizzati nella pratica cristiana. Ricordiamoli brevemente: la rivelazione di Simeone (Lc 2,34s), la fuga in Egitto (Mt 2,13s), lo smarrimento di Gesù nel Tempio (Lc 2,43-45), l’incontro con Gesù sulla via del Calvario, la presenza sotto la Croce del Figlio (Gv 19,25-27), l’accoglienza di Gesù deposto dalla Croce (Cfr Mt 27,57-61), la sepoltura di Cristo (cfr Gv 19,40-42). L’offerta della Madre, così come essa è presentata a Castelpetroso, rivive pertanto questi momenti significativi del suo cammino dolente, unito a quello del nuovo figliolo. Ci sarebbe da chiedersi: a che punto di questa mistica, dolorosa Via Matris ci troviamo?Mi arrischierei a dire che per il nuovo figlio della Donna, dato in riparazione, è già passato il momento dalla sua chiamata dall’Egitto, che è luogo e tempo di solitudine e di prova, alla fine del quale egli ha preso coscienza della sua missione; ed è trascorsa oramai anche l’epoca del Terzo Dolore, quando egli ha dato dimostrazione della sua sapienza teologica al cospetto dei dottori del Tempio. Direi pertanto che per lui, l’uomo dei dolori segnato nella carne che “sale il Monte”, si avvicina a grandi passi la tappa successiva, il tempo cioè dell’incontro con la Madre sulla via della Croce. Si avvicina perciò l’ora di questo Offertorio solennissimo, che è il vero trionfo del Cuore Immacolato di Maria, il quale porrà fine all’apostasia dilagante e all’annientamento di intere nazioni che da essa dipende.
Come avverrà tutto ciò? Essenzialmente offrendo pane e vino, alla maniera di Melchisedek (Gn 14,18): la natura umana, il suo corpo, che la sua Madre spirituale ha formato in lui; il suo sangue, che il Padre farà fluire nella sua carne debole, in un modo che può rifarsi velatamente a ciò che avvenne al Frate cappuccino di Pietrelcina quasi un secolo fa. Quel corpo e sangue porta in sé, come pane fragrante, il sapore e il profumo della Vergine Maria. Questo è il sacrificio vivente che il Discepolo amato da Cristo è chiamato a celebrare mediante tutto se stesso – sacrificio non semplicemente rituale, ma personale –, unendo la propria duplice volontà, seppure combattuta e ancora incompiuta, a quella ben più perfetta della sua Madre celeste, memore di quanto fece Gesù di Nazaret, che divenne sommo Sacerdote per avere Egli stesso preso su di sé tutto il peccato del mondo, come “Agnello di Dio”. È il Padre che gli conferisce questo sacerdozio nel momento stesso in cui attraversa il passaggio della sua morte e risurrezione. Non è un sacerdozio secondo l’ordinamento della legge mosaica (cfr Lv 8-9), ma “secondo l’ordine di Melchisedek”, secondo un ordine profetico, dipendente soltanto dalla sua singolare relazione con Dio[5].
Il trionfo del Cuore Immacolato di Maria è pertanto questo incontro lungo la Via della Madre, al quale il figlio si accosta. Non si tratta di un incontro fisico, come avvenne nei vicoli di Gerusalemme, ma unicamente mistico e spirituale. Ciascuno dei due versa nell’altro il proprio dolore: si capiscono, s’intendono. E se nella grande capitale dell’antico regno di Giudea il Figlio procedeva carico del patibulum al cospetto della Madre, ora invece è la Madre che chiede al figlio novello di prendere su di sé quel peccato e di distruggerlo con la sua morte riparatrice. Ma il dolore è uno. Voi tutti che passate per la via, considerate e osservate se c’è un dolore simile al mio dolore (Lam 1,12).
Ci avviciniamo dunque a contemplare questo mistero grande: la Madre che incontra il nuovo figlio che le è stato affidato ai piedi del Legno, da Lei dato in oblazione proprio per riparare all’abominio devastante, che vorrebbe negare la Crocifissione redentrice. Ed ecco allora, in quella Scena profetica mostrata ai tre bambini in terra lusitana, quelle fiamme inviate dall’Angelo con la spada di fuco, che si spengono al contatto dello splendore emanato dalla Vergine, mentre in una luce immensa che è Dio, viene veduto il “Vescovo vestito di Bianco”, il suo figlio generato nel dolore.
Proprio così, perché è venuto il tempo in cui la Donna vestita di sole del passo apocalittico grida per le doglie e il travaglio del parto (Ap 12,2), ed ha generato quel figlio che si dispone ad offrire al Padre. Lo ha messo al mondo non a Betlemme di Giudea, proprio perché, per quel che è definito nel dogma dell’Immacolata Concezione da cui siamo partiti, Ella non gridò affatto nel dare alla luce il Bambino Gesù. E dove allora? Perché grida la Donna dell’Apocalisse? In verità, a questa doverosa domanda si rifà il profeta Isaia: Prima di provare i dolori, ha partorito; prima che le venissero i dolori, ha dato alla luce un maschio. Chi ha mai udito una cosa simile, chi ha visto cose come queste? (Is 66,7s). Come può essere! Che dolori di partoriente sono mai questi! Maria è Addolorata per il peccato che esiste nella Chiesa, ma prima di provare questi dolori ha generato un figlio. Entrare nel dettaglio di come e dove ciò sia avvenuto ci porterebbe troppo oltre. Tuttavia, abbiamo riprova che si tratta di dolori che la Vergine Madre patì sotto la Croce del suo Gesù, nel mettere al mondo il nuovo figlio che le veniva affidato: «Donna, ecco il tuo figlio» (Gv 19,26). Beata quæ sine morte meruit martyrii palmam[6].
Non esistono – dobbiamo crederlo – altre possibili, accettabili esegesi[7]. Questi è il figlio, che qui abbiamo voluto definire “spirituale”, che l’Addolorata apparsa a Castelpetroso offre al Padre col suo Immacolato Cuore di Mamma.
Ancora il passo apocalittico ci dice di lui, di questo “bambino” – τέκνον – che solo in seguito è nobilitato a divenire effettivamente “figlio” della Donna – υἱός –, che egli è destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro (Ap12,5), così come dice il salmista a proposito dell’intronizzazione del Re. Dunque personaggio regale, in quanto figlio della nostra Augusta Regina. Chi sarà mai costui? Da dove viene?
Qualche utile dettaglio ce lo fornisce ancora quel passo dell’ultimo libro della Bibbia: perseguitato sin dai suoi primi anni dal drago, che a me qui pare opportuno definire massonico, smanioso di divorarlo (Ap 12,4), misticamente attratto verso il trono celeste già da infante; seppur forgiato sin dai primi anni di vita nel dolore e nella prova, la sua incolumità è sempre preservata grazie alla celeste protezione dell’Arcangelo Michele, che infine abbatte chi attenta alla sua vita – che è il serpente antico, l’accusatore –, e lo precipita (Ap 12,7-9). Nel tempo della persecuzione anticristica che è alle porte, in questo locum paratum a Deo, la Donna, la Santa Madre Chiesa, verrà protetta, sopravviverà il vero culto cattolico, sussisterà grazie a lui pur sempre la Presenza Reale, per un tempo, due tempi e la metà di un tempo, cioè milleduecentosessanta giorni (Ap 12,6.14), mentre altrove è abominio e distruzione.
Locum paratum a Deo, dice il versetto apocalittico – τόπος –, perché si tratta di un luogo reale. E allora, Castelpetroso perché? Sappiamo che per una dozzina d’anni in questo almo Santuario mariano hanno felicemente adempiuto la loro missione i frati Francescani dell’Immacolata, chiamati nel 1993 dall’ordinario diocesano di allora, ma che a motivo di incomprensioni ed invidie del clero secolare della zona sono dovuti andar via[8]. Storia ricorrente che vede questi eletti e zelanti religiosi dal saio azzurrino, oramai deprivati del loro carisma originario dalla neo-chiesa bergogliana, sempre più indispensabili nei travagliati anni che ci attendono, proprio per il loro esclusivo voto mariano. E allora, perché Castelpetroso? Forse perché ubicata tra impervie montagne, nel cuore di una terra a torto o a ragione misconosciuta, in ogni caso certamente meno secolarizzata di altre, dove le virtù cristiane, i legami famigliari hanno ancora molto del valore antico, e quindi almeno sulla carta molto più refrattaria alla deriva secolarista che ci aggredisce in questo nostro tempo? O anche per la ragione che si tratta di un territorio molto meno popolato, anzi possiamo certamente dire letteralmente “desertico”, come fa intendere il passo apocalittico (Ap 12,6.14); ed inoltre – particolare non irrilevante – assai meno investito, per una questione meramente numerica, dall’ondata migratoria che tenta di stravolgere i connotati religiosi, morali, culturali ed ideali della nostra popolazione italiana?
Siamo coscienti ed avveduti che, spesso e volentieri, nella storia della Chiesa gli eventi più rilevanti hanno avuto luogo nelle piccole realtà: era uno sperduto villaggio pirenaico Lourdes, era un piccolo borgo Fátima. Cristo stesso nacque non nella grande capitale, ma nella sua periferia. E se anche può essere giustificata una certa ritrosia, che diventa incredulità, ad ammettere che da una realtà marginale possa venire un evento epocale e risolutore qual è quello che ci attende, ricordiamoci sempre di quell’interrogativo uscito dal labbro scettico di Natanaele: «Da Nazaret può venire qualcosa di buono?» (Gv 1,46). Conosciamo la risposta …
Non può che essere così. Come pure assume il suo significato rilevantissimo il fatto storico che in questa terra periferica si sia interamente formato quel sacerdote-vittima che ha segnato il secolo Ventesimo col suo cinquantennale martirio rivissuto salendo l’altare del Signore: Padre Pio da Pietrelcina, di cui il fondatore dei Francescani dell’Immacolata è peraltro figlio spirituale. Proprio riguardo a questo, di un’Apparizione della Vergine, avvenuta a lui diciottenne nel convento campobassano dei Monti, dovremmo discorrere più approfonditamente quanto prima. Qui mi basta ricordare quella allarmante espressione confidata a un suo stretto collaboratore e figlio spirituale proprio dallo Stigmatizzato che offrì il suo personale sacrificio sopra il montegarganico: «La mia missione finirà quando sulla terra non si celebrerà più la Messa»[9].
Constatiamo perciò che tutto torna: l’abolizione del sacrificio quotidiano, che sta per aggredire i nostri giorni a venire, l’offerta riparatrice della Madre della Chiesa che pone un argine a questo male assoluto, così come ci appare nel Santuario di Castelpetroso, la “missione grandissima”[10] di Padre Pio, che consiste infine nel prendere per mano questo figlio della Donna vestita di sole, per insegnargli un “mestiere” che lui stesso imparò a carissimo prezzo: quello della vittima che s’immola giorno dopo giorno sopra l’altare del Signore; con un’unica sostanziale differenza, poiché la vittima perfetta, il pastore che si fa agnello, dovrà perdere tutto il suo sangue ai piedi della grande Croce veduta dai tre bambini di Fátima il 13 luglio 1917.
Fátima non è una storia semplicemente portoghese, ma prioritariamente italiana, perché l’Italia è il Paese dove, per intervento della Provvidenza, il Beato Pietro, il Vicario di Gesù Cristo, ha fissato la propria Sede. E Fátima, trattando della rimozione del principio petrino che, per divina preveggenza, verrà rimpiazzato da un principio prioritario e complementare che è mariano-giovanneo, non può non interessare in modo preminente questo nostro Paese. Nondimeno, credo di aver dimostrato ancora una volta che non del Vicario di Cristo si parla in quella Visione profetica.
Viene dunque l’ora del figlio di Maria, dono incommensurabile che ci viene offerto. Ma prima che quest’uomo sconosciuto al mondo si ponga davvero a guida del piccolo resto rimanente, quello che conseguirà la vittoria, occorrerà attraversare il momento doloroso e difficile della prova. Solo alla fine del Quinto Dolore di Maria, quando crocifissa nell’anima Le venne dato il figlio adottivo, quando come il Maestro anche il suo Corpo mistico verrà mandato al supplizio, a costui verrà messa in mano la Croce pastorale e guiderà i segnati fino a fare ingresso nella Gerusalemme nuova.
Vorrei concludere questa mia esposizione, che spero non troppo tecnica né noiosa, con le impegnative parole pronunciate lo scorso 12 ottobre dal cardinale Raymond L. Burke nel corso di un ciclo di conferenze all’Abbazia di Buckfast, in Inghilterra, nella felice ricorrenza del centenario del “miracolo del sole”. Esse sintetizzano, seppure in modo velato, quello che si è cercato di spiegare nel dettaglio in questo scritto:
«Suor Lúcia descrive il martirio di quelli che rimangono fedeli a Nostro Signore, di quelli che sono di un solo cuore, nel Cuore Immacolato di Maria, con il Sacro Cuore di Gesù. Non manchiamo di abbracciare qualunque sofferenza venga dalla nostra fedele testimonianza a Lui, che è il vero tesoro dei nostri cuori. […] Con cura materna, (Maria) attrae i nostri cuori al suo glorioso Cuore Immacolato, per condurre i nostri cuori al Sacro Cuore di Gesù, e ci istruisce, così come avvenne quando incaricò i servitori durante la Festa di Nozze di Cana nel loro stato di necessità: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela” (Gv 2,5). Con l’aiuto della Vergine Madre di Dio, dobbiamo essere pronti ad accettare qualunque sacrificio ci sia richiesto, per essere fedeli fratelli e sorelle di Cristo, fedeli soldati di Cristo, il Figlio unigenito di Dio».[11]
* * *
[1] Cfr. R. LAURENTIN, Lourdes. Cronaca di un mistero, 14ᵃ rist. Milano 2009, p. 220.
[3] BASILICA DELL’ADDOLORATA DI CASTELPETROSO, Guida del pellegrino. Fulget in Matre mysterium Crucis, Castelpetroso 2013, p. 8.
[4] La Via Matris dolorosæ venne approvata dal papa Leone XIII nel 1884 (Lett. ap. Deiparæ perdolentis, in Leonis XIII Pontificis Maximi Acta, III, Typographia Vaticana, Romæ 1884, pp. 220-222).
[5] BENEDETTO XVI, Omelia nella solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (Basilica di San Giovanni in Laterano, giovedì 3 giugno 2010).
[6] Si tratta della Communio della festa della Madonna Addolorata nell’antico Messale di San Pio V, che, con un leggero ritocco, è diventato, nella Forma ordinaria del rito latino, l’antifona dell’alleluia della lezione evangelica n. 11 del Comune della Beata Vergine Maria: “Beata est Maria Virgo, quae sine morte meruit martyrii palmam sub cruce Domini” (cfr. PEDRO RODRÍGUEZ, n. 622 di Camino, edición crítico-histórica, Madrid 2004).
[7] Non può ritenersi accettabile, come fa qualche esegeta, che nel capitolo 12° dell’Apocalisse si voglia alludere a una continua generazione di Cristo da parte della Chiesa, nella persecuzione, poiché alcuni passi la contraddicono – si parla difatti di “luogo” specifico, in cui il parto spirituale avviene (τόπος) –, ed inoltre tutta la descrizione appare assai realistica e non riconducibile che a unico avvenimento ben preciso della storia umana.
[9] Parole confidate da Padre Pio a Luigi Peroni, che fu direttore dei suoi Gruppi di Preghiera nonché suo biografo, riportate in A. GNOCCHI, M. PALMARO, L’ultima messa di Padre Pio. L’anima segreta del santo delle stigmate, Milano 2010, pp. 9, 18.
[10] In una lettera del novembre 1922, indirizzata alla sua figlia spirituale Nina Campanile, Padre Pio si confida, come dialogando con Gesù: «qui mi ascondesti agli occhi di tutti, ma una missione grandissima avevi fin d’allora affidata al tuo figlio: missione che a te e a me solo è nota» (Epist. III, p. 483).
[11] RAYMOND L. BURKE, Fatima 100 Years Later: A Message at the Heart of the Faith, p. 13 del documento allegato a questo articolo.
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