giovedì 8 dicembre 2016

8 dicembre 1943 - Immacolata Concezione di Maria


Rivelazione della Madonna a Maria Valtorta 


 «Scrive sempre Luca, il mio evangelista, che il mio Gesù, dopo esser stato circonciso ed offerto al Signore, “cresceva e si irrobustiva pieno di sapienza, e la Grazia di Dio era in Lui”; e più oltre ripete come, ormai fanciullo dodicenne, stava a noi soggetto e “cresceva in sapienza, in età e in Grazia dinanzi a Dio e agli uomini”. Una deviazione della pietà dei fedeli ha fatto sì che l’ordine serbato da Dio anche verso Se stesso, in merito alla sua esistenza di Figlio dell’Uomo, sia stato alterato. Ama la leggenda fare del mio Bambino un essere prodigioso e innaturale, il quale sin dalla nascita abbia avuto atti da uomo e sia perciò stato qualcosa di talmente irregolare da divenire mostruoso. Questa pietà errata non è punita da Dio, il quale vede e compatisce la stessa e la giudica opera di un amore non perfetto nella forma, ma sempre gradito perché sincero. Ma Io voglio parlare a te del mio Bambino così come era quando senza la sua Mamma non avrebbe potuto fare nulla: un esserino tenero, delicato, biondo, lievemente roseo e bello, bello come nessun figlio d’uomo e buono, buono più degli Angeli che aveva creato il Padre suo e nostro. La sua crescita fu né più né meno quella di bambino sano e curato dalla mamma. Intelligente il mio Bambino. Molto. Come un perfetto lo può essere. Ma la sua intelligenza si svegliò giorno per giorno seguendo la regola comune a tutti i nati di donna. Era come se il sorgere di un sole si facesse strada nel suo capino biondo. I primi sguardi, non più vaghi come quelli dei primi giorni, cominciarono a posarsi sulle cose e specie sulla sua Mamma. I primi sorrisi incerti e poi sempre più sicuri quando mi curvavo sulla sua cuna o lo prendevo in grembo per dargli il latte, lavarlo, vestirlo e baciarlo. Le prime parole informi e poi sempre più chiare. Che beatitudine esser la Mamma che insegna al Figlio di Dio a dire: “Mamma!”. E la prima volta che la disse per bene questa parola, che nessuno come Lui seppe mai dire con tanto amore, e che me la disse sino all’ultimo respiro, che festa mia e di Giuseppe e quanti baci sulla bocchina dove erano i primi dentini! E i primi passi coi suoi piedini tenerelli, rosei come il petalo di una rosa carnicina, quei piedini che io carezzavo e baciavo con amore di mamma e adorazione di fedele e che me li avrebbero poi inchiodati alla croce e li avrei visti contrarsi nello spasimo, illividirsi e divenire di gelo. E le sue cadute quando cominciò ad andare da solo. Io correvo a rialzarlo ed a baciargli le ammaccature... Oh! allora potevo farlo! Lo avrei visto un giorno cadere sotto la croce, già agonizzante, lacero, sporco di sangue e delle sozzure lanciate su Lui dalla folla crudele, e non avrei più potuto correre a rialzarlo, a baciargli le contusioni sanguinanti, povera Mamma di un povero Figlio giustiziato! E le sue prime gentilezze: un fiorellino colto nell’orticello o per via e portato a me, uno sgabellino trascinato ai miei piedi perché fossi più comoda, un raccogliere un oggetto che m’era caduto. E il suo sorriso. Il sole della nostra casa! La ricchezza che copriva di seta e oro le nude pareti della casetta mia! Chi ha visto il sorriso del mio Figlio ha visto il Paradiso in Terra. Un sorriso sereno finché fu Bambino. Un sorriso sempre più pensoso fino ad esser mesto mano a mano che si faceva adulto. Ma sorriso sempre. Per tutti. E fu una delle ragioni del suo fascino divino per cui le turbe lo seguivano incantate. Il suo sorriso era già parola d’amore. Quando poi al sorriso si univa la voce, che più bella il mondo non ebbe, anche le zolle e gli steli del grano fremevano. Era la voce di Dio che parlava. E fu un mistero, che solo le imperscrutabili ragioni di Dio spiegano, come Giuda ed i giudei poterono, dopo averlo udito parlare, giungere a tradirlo e ad ucciderlo. La sua intelligenza, sempre più aperta sino a raggiungere il perfetto, mi incuteva ammirazione e rispetto. Ma era talmente temperata di bontà che non mortificò mai nessuno. Dolce Figlio mio, che fosti dolce con tutti, specie con la tua Mamma! Fatto giovinetto, io mi interdicevo di baciarlo come quand’era piccino. Ma non mi mancò mai il suo bacio e la sua carezza. Era Egli che sollecitava la sua Mamma, di cui comprendeva la sete d’amore, a bere la vita baciando le sue carni sante, a bere la gioia. Prima dell’Ultima Cena venne a trarre conforto dalla sua Mamma. E mi stette appoggiato sul cuore come quand’era Bambino. Si volle saturare di amore di Mamma per poter resistere al disamore di tutto un mondo. Dopo Lo ebbi sul cuore già gelido e spento nelle livide luci del Venerdì santo. E vedere il mio sempre Bambino -perché per una mamma il suo figlio è sempre un bambino, e tanto più lo è, quando è sofferente o spento- vedere il mio Bambino fatto tutto una piaga, sfigurato dal patire subìto, incrostato di sangue, nudo, squarciato fino al Cuore, vedere ferma quella Bocca bene- detta che aveva avuto solo parole sante, quegli Occhi adorati il cui sguardo era una benedizione, quelle Mani che non s’erano mosse che per lavorare, benedire, guarire, carezzare, quei Piedi che si erano stancati per cercare di radunare il suo gregge e che il gregge aveva trafitti, fu uno strazio sconfinato che dilagò sulla Terra per redimerla e invase i firmamenti che rabbrividirono di pietà. Tutti i baci che avevo nel Cuore e che, nelle forzate separazioni di quegli ultimi tre anni, non avevo potuto dargli, glieli ho dati allora. Non una lividura restò senza bacio e lacrime. E solo Io so quale numero raggiunsero. Baci e pianto lavarono per primi il suo Corpo spento, né mai mi bastava di baciarlo prima di vederlo scomparire sotto gli aromi, il sudario, la sindone e le bende, e per ultimo oltre la pietra ribaltata sulla chiusura del Sepolcro. Ma la mattina della Risurrezione potei contemplare il Corpo glorificato del Figlio mio. Entrò col raggio del sole, inferiore a Lui di splendore, e lo vidi nella sua Bellezza perfetta, mio perché Io l’avevo formato, ma Dio perché ormai Egli aveva superato l’ora umana e tornava al Padre portando nei Cieli me con la sua Carne divina modellata nel seno mio a mia umana somiglianza. Non ci fu per la sua Mamma il divieto avuto per Maria di Magdala. Io Lo potevo toccare. Non avrei contaminato con la mia umanità la sua Perfezione che saliva ai Cieli, perché quel minimo di umanità che avevo, nella mia condizione di Immacolata Concezione, s’era arso come un fiore gettato in un incendio nel rogo espiatorio del Golgota. Maria-Donna era morta col Figlio suo. Ora rimaneva Maria-anima, ardente di salire col Figlio al Cielo. Ed il mio abbraccio venerabondo non poteva turbare la Divinità trionfante. Oh! Benedetto per quel suo amore! Ché se dopo ho sempre avuto presente il suo Corpo straziato, ed il ricordo di quella tortura ancora non ha perduto il suo aculeo, la rimembranza del suo Corpo glorificato, trionfante, bello di una Bellezza divina e maestosa che è la gioia dei Cieli, fu il mio perenne conforto durante i troppo lunghi giorni del vivere mio, e fu mio perenne anelito terminare la vita per rivederlo. Maria, da due ore è iniziata la mia festa e ti ho tenuta con me facendoti conoscere il mio Gesù. Ora riposa guardando Coloro che ti amano e che ti aspettano e vedendo la Bellezza che fa il gaudio dei Santi». (La Madonna a Maria Valtorta - I Quaderni del 1943)

Nessun commento:

Posta un commento